La diversa normalità nello sport

L'arduo compito della normalità è servirsi del diverso per sentirsi normale. Quando la curva di Gauss, nella sua distribuzione di probabilità continua, rimane un concetto astratto e puramente matematico.
La diversa normalità nello sport

La positività dello sport è quella di riuscire ad attrarre moltissime persone e, indipendentemente dal loro modo di giocare, muoversi, segnare, offre l’innaturata capacità di divertirsi. In particolar modo la pallacanestro, che consegna a chiunque la possibilità di gioire nel “fare canestro”. Ammettetelo, quanti di voi simulano un tiro allo scadere quando devono centrare il cestino della spazzatura con un foglio di carta appallottolato?!

L’estrema eterogeneità di diverse applicazioni permette a questo sport di adattarsi a chiunque, e chiunque di adattarsi a lui. Questo è il caso di una squadra di atleti con disabilità. Beh, direte, "qual’è la novità? Ci sono le partite di basket in carrozina", “ho letto un post sulla nazionale di pallacanestro composta da ragazzi down, incredibili!”.

Bene e se ora vi dicessi che questa squadra è composta da atleti con disabilità intellettiva, che talvolta hanno comportamenti bizzarri, inadeguati o strani, dicono cose incomprensibili, corrono per la palestra quando provi a chiamarli e mettono le mani alle orecchie quando usi il fischietto?... già, qui la questione è diversa.

Parliamoci chiaro senza cadere nel superfluo buonismo. Che c’è di male?

Sono comportamenti e non sono sbagliati, rispecchiano l’individuale personalità di ognuno, si configurano come comportamenti adattivi alle risposte ambientali. Perchè il comportamento bizzarro può essere l’esternazione di gioia e felicità nello stare in palestra, un gesto strano può riassumere una modalità comunicativa differente, le parole incomprensibili possono essere manifestazioni di ricordi positivi o sensazioni negative per fattori disturbanti, l’eccessiva corsa per il campo dimostra uno stato di eccitazione dovuta alla contentezza nello stare con gli altri, il mettersi le mani alle orecchie significa “hey, ma cosa mi fischi nelle orecchie!? Mi da fastidio!”. Ebbene, sono sbagliati? No, solo diversi.

L’intento di creare una squadra con atleti aventi disabilità intellettiva ha un duplice valore.

Il primo riflette la concessione e il diritto di muoversi, fare sport, giocare, correre, attivarsi a livello motorio come in altri contesti non potrebbero fare. Non finirò mai di sottolineare quanto il movimento sia importante, non solo per un benessere fisico ma anche quello mentale.

Il movimento è conoscenza.

L’attivare i muscoli in compiti “nuovi” per il nostro corpo permette la scoperta di una parte di sè, di un meccanismo che non conoscevamo ma che si rende visibile. Permette al nostro cervello di elaborare l’informazione, strutturare nuovi processi mnemonici, immagazzinare gesti e azioni nella memoria motoria utili in altre situazioni simili.

Il secondo valore si fonda sulla percezione dell’altro. Quando facciamo sport, specialmente nella pallacanestro, dobbiamo considerare l’"io" e il “tu”. Devo comprendere e percepire che c’è un’altra persona, un’altra figura che gioca con me o contro. Qui le situazioni dinamiche che si attivano sono infinite, dal passaggio della palla allo sguardo per osservare ciò che l’altro compagno ha fatto, per esultare insieme per il canestro di un'amica.

La relazione sta alla base.

Questi sono due pilastri che connotano l’attività. Ma che valore può avere all’interno di una società sportiva?

La squadra di atleti mostra la possibilità di rendere lo sport un’attività libera, accessibile a tutti e non preclusa a “chi non è capace” secondo gli standard della normalità. Sprona la mente a vedere oltre al pragmatico input del bianco e nero, al considerare il diverso come sbagliato. E questo non solo a livello esteriore, superficiale, ma anche negli atleti della stessa Società sportiva.

Il ragazzi, dai preadolescenti agli adolescenti, oggigiorno hanno poca consapevolezza della percezione della diversità, non tanto di come esternamente una persona disabile appare, ma di come è realmente il soggetto nella sua individualità. Che al di là dell’aspetto, del comportamento, di ciò che dice, rimane la persona con i suoi sentimenti, le sue emozioni, i suoi vissuti, i quali meritano rispetto e attenzione come quelli di chiunque altro.

Non si tratta di un mero messaggio buonista per la classica morale sul diverso, qui si tratta di rendere futuri uomini e donne gli atleti sui campi da gioco, perchè il basket, e lo sport in generale, è formazione della persona, è costruzione identitaria, è formulazione di comportamenti che verranno esportati nella società nella quale vivono.

E questa educazione proviene dalla sana realtà sportiva che tantissimi ragazzi e ragazze vivono.

Oggi le attività sportive per atleti con disabiltà intellettiva sono viste come la novità, la “bella iniziativa”, credo fermamente che debbano diventare prassi, rientrare in un organigramma societario di qualsiasi disciplina. Perchè, in fondo, è solamente una diversa normalità.

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Postato da Matteo Maccione

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Nato a Verona, vive a Pistoia. Educatore Professionale presso un Centro sanitario per il trattamento di soggetti con diagnosi di disturbo dello spettro autistico in età evolutiva nella provincia di Pistoia. 
Studia presso l'Università di Firenze al CdL Magistrale in Dirigenza scolastica e Pedagogia clinica, è attualmente in formazione in un Master in Neuropedagogia dei processi cognitivi.
Si occupa del coordinamento e della progettazione educativo-motoria di un team di atleti con disabilità intellettiva, gli Shoemakers Overlimits.