Minibasket: l'importanza e il valore dei giochi di potere

Il Minibasket di oggi nel modello integrato.
Minibasket: l'importanza e il valore dei giochi di potere

Nell’ultimo decennio la FIP ha continuamente rimarcato l’importanza di un approccio INTEGRATO, che sia in grado di accompagnare i giovani cestisti dei settori giovanili attraverso un percorso coerente, il cui fine ultimo è, lo conosciamo ormai bene, il GIOCATORE AUTONOMO, RESPONSABILE E COLLABORATIVO.

Come in ogni programmazione che si rispetti, fissando l’obiettivo finale, si è perciò ragionato su quale dovesse essere il primo passo da far compiere rispetto alla meta prefissata e si è compresa la necessità di un minibasket inteso come tappa fondamentale per sviluppare i pre-requisiti indispensabili alla pallacanestro giovanile e non come una pallacanestro in miniatura.

Quindi lo sviluppo progressivo delle capacità coordinative dal punto di vista motorio è stato legato indissolubilmente alla crescita costante delle capacità cognitive e relazionali di un minicestista, utilizzando l’ambito tecnico, nella metodologia d’allenamento, quale STRUMENTO didattico, il MEZZO cioè con cui raggiungere uno scopo e non il fine ultimo da perseguire.

Autonomia, funzioni esecutive e giochi di potere.

È però sulla centralità di quell’aggettivo “autonomo” che vorrei provare a proporre un ragionamento, per cercare di mettere in relazione proprio quell’AUTONOMIA tanto agognata, e della cui mancanza spesso ci si lamenta, con l’utilizzo dei GIOCHI DI POTERE nelle fasi centrali delle nostre lezioni di minibasket.

Si potrebbe legittimamente scegliere di lasciare alla casualità del gioco il raggiungimento dell’autonomia dei giocatori, o si può, secondo me più correttamente, progettare la propria attività in modo che, sin dal minibasket, i bambini siano messi di fronte a situazioni-problema, da risolvere attraverso la propria capacità di legare il pensiero e l’azione.

E non perché glielo chiede l’istruttore!

Ma perché il gioco propostogli è volutamente strutturato in maniera tale, che il bambino, giocando, dovrà AGIRE PENSANDO, esercitando così continuamente quelle che gli studiosi chiamano FUNZIONI ESECUTIVE, e col tempo ne affinerà l’utilizzo.

Ma quali sono le funzioni esecutive? Soffermiamoci brevemente su ognuna di esse:

  • PIANIFICAZIONE: un giocatore autonomo è in grado di pianificare l’azione che si appresta a compiere;
  • DECISIONE, AZIONE, INIBIZIONE: un giocatore autonomo decide cosa fare, come, quando farlo etc, e di conseguenza agisce o eventualmente decide di non agire;
  • REGOLAZIONE e CORREZIONE: un giocatore autonomo sa regolare o correggere le proprie decisioni sulla base delle esperienze pregresse e dei feedback intrinseci ed estrinseci ricevuti.

Ma si può dunque allenare tutto questo già nel minibasket? Certo, SI DEVE! Come farlo?

Quello che intendo evidenziare è appunto che i giochi di potere offrono stimoli continui all’esercizio delle funzioni esecutive e proverò a farlo attraverso un confronto fra due attività che scopriremo essere agli antipodi.

In un immaginario allenamento aquilotti si potrebbe scegliere di proporre una gara di tiro in corsa, impostandola per esempio in tal modo.

Al fischio i primi di ogni fila partono in palleggio, eseguono un tiro a testa e tornano in fila; la squadra che arriva prima a 10 canestri realizzati vince la gara. Si potrebbe chiedere ai propri aquilotti di tirare per esempio in terzo tempo, fare più gare ed invertire le file. E, se si volesse renderlo ancora più difficile, si potrebbe inserire un secondo pallone a testa, chiedendo loro di lasciare al fischio quello nella mano interna e via di seguito come prima.

Ma se il nostro traguardo è appunto quell’autonomia, siamo sicuri di non poter provare ad offrire ai nostri bambini qualcosa di maggiormente funzionale a quell’obiettivo?

Il primo bambino della squadra "1" ha il potere e comanda, stando fermo sul posto può palleggiare a suo piacimento, alto/basso, alternato/contemporaneo, sempre con due palloni, l’avversario fermo di fronte a lui deve copiare, quando vuole chi ha il potere batte un pallone e va a tirare, chi realizza per primo assegna il potere alla propria squadra. Intanto i bambini del turno successivo entrano in palleggio e prendono il pallone lasciato dai compagni, stando attenti a chi guadagna il potere. Le squadre contano i loro punti e, quando una arriva a 10 e lo comunica, vince.

Di primo acchito le due situazioni potrebbero essere considerate assimilabili, perché sono simili le azioni motorie compiute sul campo dai bambini: in entrambe le sfide essi attraversano il campo in palleggio e concludono con il tiro la propria azione, in entrambe palleggiano da fermo con due palloni.

A ben guardare però, rispetto al nostro discorso, le differenze sono tante.

Nel primo esempio è l’istruttore che governa l’attività, il bambino si limita ad eseguire al fischio, ed è chiaro che l’istruttore non potrà che valutarne l’esecuzione rispetto al proprio modello d’esecuzione ideale del compito. A nessun’altra chiave di lettura si presta un’attività congegnata in siffatta maniera.

Nella seconda attività, invece, la richiesta in termini cognitivi è altissima e mai fine a sé stessa, perché il pensiero ha il compito di sostenere le DECISIONI e le AZIONI dei bambini, verso un’esecuzione totalmente autonoma e quindi mai standardizzata.

Facciamo degli esempi di quello che potrebbe accadere, ma molti altri se ne potrebbero fare, anche per un gioco di potere così semplice: chi ha il potere

  • nel tempo che precede il proprio turno, potrebbe pianificare la sua azione, per esempio riflettendo su quale sia il pallone che maggiormente gli convenga lasciare per arrivare più rapidamente a canestro, giungendo ad una soluzione personale in base a valutazioni condotte in autonomia,
  • potrebbe pianificare di partire nel momento in cui nota una difficoltà del proprio avversario a gestire il palleggio con due palloni,
  • potrebbe inibire la propria azione di partenza verso il canestro, per esempio perché non si sente ancora pronto o perché, guardando l’avversario, giudica che ancora non sia il momento migliore per agire,
  • potrebbe anche decidere di andare a canestro per liberarsi dall’impaccio della gestione dei due palloni,
  • potrebbe accorgersi che il suo avversario ha difficoltà a gestire un certo tipo di palleggio e regolare la propria azione di conseguenza, o potrebbe rendersi conto di aver scelto un momento sbagliato per partire e correggersi, utilizzando quell’esperienza maturata per diventare più efficace nel gioco.

Pianificare, decidere, agire, inibire, regolare e correggere la propria azione: non gli accadrà forse continuamente di doverlo fare anche fra qualche anno, prima nel settore giovanile e poi nel basket evoluto?

Quante possibili letture differenti nella stessa situazione, quante opportunità di esercitare la propria capacità di scelta e quante ancora potenzialmente se ne potrebbero trovare!

Ed è proprio la gestione paziente e sapiente, da parte dell’istruttore, di quelle possibilità lasciate al bambino, che segna la differenza netta fra chi nel minibasket pianta i semi di un pensiero autenticamente autonomo e chi si accontenta del magro raccolto della prescrizione, rischiando d’inaridire le potenzialità di un fertile campo.

Il nostro bambino POTREBBE, e se noi siamo disposti ad attendere, scopriremo che ogni condizionale divenuto realtà sarà una conquista tutta sua, soddisfacente per lui anche dal punto di vista emotivo, e di cui imparerà a sentirsi responsabile nel bene e nel male, una conquista che lo renderà più pronto ad affrontare le nuove situazioni che gli si presenteranno dentro e fuori dal campo.

E dal punto di vista socio-relazionale?

Se poi, sempre parlando di giochi di potere, ci spostiamo nell’AMBITO SOCIO-RELAZIONALE, qualcuno potrebbe dire: “beh il potere è dichiaratamente esclusivo, risponde ad una logica prestativa, in fondo lo prende sempre il più bravo e così afferma semplicemente sé stesso”. A ben riflettere, però, anche da questo punto di vista i giochi di potere mostrano grande coerenza rispetto alla filosofia inclusiva che dovrebbe sempre animare il minibasket. Infatti, per come sono strutturati, essi permettono a tutti di sperimentare la possibilità di decidere, perché, giocando, il bambino guadagna il potere per il compagno che giocherà dopo di lui, quello che magari ha ancora qualche difficoltà e che, se dipendesse solo da lui, non riuscirebbe così facilmente a prenderlo. Ciò mette così in moto un processo di RECIPROCITÀ positiva, che è alla base dell’atteggiamento PROSOCIALE verso cui il minibasket dovrebbe tendere, proprio quale traguardo nell’ambito socio-relazionale.

Il bambino più abituato a decidere può così essere costretto, non avendo il potere, a dover reagire e quindi a confrontarsi in una situazione a lui meno congeniale e, allo stesso modo, quello meno abituato potrà essere invece l’ATTIVATORE, dalla scelta del quale il gioco si sviluppa.

Forse allora i giochi di potere, anche in questo ambito, hanno una chiave di lettura significativa, cioè mettono in RELAZIONE i bambini, non a parole, ma fattivamente, insegnandogli come nel gioco si scelga per sé, ma anche per la propria squadra, e permettendo a tutti di esercitare le FUNZIONI ESECUTIVE, che abbiamo visto essere fondamentali per la crescita di un giocatore autonomo.

Infatti se è vero che nelle partitine tutti i giocatori sono chiamati a decidere, è però anche vero che spesso nel minibasket, come nel basket giovanile, il momento delle situazioni-partita vede alcuni più di altri (il più pronto, il più talentuoso, il più sfrontato etc) giocare un numero maggiore di palloni e, di conseguenza, avere maggiori possibilità di affinare le proprie capacità decisionali. È normale che sia così, ed un bravo istruttore deve saper governare sapientemente l’equilibrio, a volte difficile da ottenere, tra la promozione del talento, espressione del SÈ e lo stimolo alla COLLABORAZIONE, espressione del NOI, e l’inserimento dei giochi di potere in ogni lezione diventa in tal senso un prezioso strumento didattico, in grado di riequilibrare il carico sulle funzioni esecutive, distribuendolo in maniera più omogenea su tutti.

Nella scelta delle parole c’è spesso il senso profondo delle cose.

Un’ultima riflessione sul nome: qualcuno si sarà già probabilmente chiesto o si chiederà perché non chiamarli giochi di vantaggio (in fondo avere il potere si tramuta nella possibilità di avere un vantaggio) o magari giochi di decisione, o di autonomia? Perché proprio giochi di potere? Me lo sono chiesto anche io, certo senza alcuna preoccupazione di innescare derive autoritaristiche e antidemocratiche durante le mie lezioni.

Forse semplicemente perché ancora una volta si sceglie di mettersi dalla parte dei bambini, si sceglie di accompagnarli nel loro percorso standogli a fianco, senza guidare la macchina, forse perché non gli si vuol dire a cosa equivale avere il potere, ma si vuole che sperimentino da soli la possibilità di decidere divertendosi, mettendo in conto anche di poter sbagliare. Scopriranno poi, nel loro percorso del settore giovanile, quanto quella possibilità di scegliere autonomamente sarà fondamentale per costruirsi situazioni vantaggiose, per mantenerle e concretizzarle, e magari ricorderanno con un sorriso il loro vecchio istruttore, che durante quei giochi spesso gli chiedeva “cosa potresti fare per…?”, e che non dava mai loro le soluzioni, e capiranno che lo faceva perché per lui i protagonisti erano proprio i suoi ragazzi.

E, mentre mi rispondevo in questo modo, mi sono ricordato dei pulcini e di quanto si divertano a giocare nelle lezioni in cui l’affabulazione è sui super eroi, di quanto gli piaccia avere i super poteri; forse non c’era nome migliore di “GIOCHI DI POTERE”, certo, per LORO, mica per me, e poi mi sono ricordato della prima volta che ho spiegato ad una libellula “tu hai il potere”, ho rivisto il suo sorriso, il suo sguardo ansioso di mettersi alla prova e ho capito che ha funzionato, funziona e funzionerà, sempre per lo stesso concetto: è A LORO che deve piacere, il POTERE è LORO e guai a chi glielo tocca!

 

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Istruttore nazionale e docente formatore minibasket per la regione Sicilia, allenatore di base CNA, responsabile minibasket per la Zannella Basket Cefalù dove allena gruppi aquilotti, esordienti e Under 13, assistente allenatore in BF con Alma Basket Patti, insegnante nella scuola secondaria di II grado.