L'errore come processo fondamentale dell'apprendimento.

La gestione dell’errore è importante perché permette ai giocatori di comprendere i propri limiti, individuare i punti deboli e lavorare su di essi.
L'errore come processo fondamentale dell'apprendimento.
La pallacanestro è un gioco di errori dove vince chi ne commette meno o chi è più bravo a sfruttare gli errori altrui.

In ogni partita ci sono palle perse e canestri sbagliati e non è possibile pensare di annullarli, così come in ogni partita il difensore si dimentica un attaccante e la squadra avversaria non ne approfitta.

L’errore, quindi, non deve essere visto come un fallimento, ma come un’opportunità di crescita, per fare questo però è fondamentale la correzione dell’allenatore e come viene gestita la correzione dell’errore e in quale clima viene gestito questo processo d’apprendimento sia dall’allenatore che dalle figure vicino all’atleta.

Gli allenatori, oggi, chi hanno come interlocutori?

Secondo dati recenti, attualmente un giovane su tre tra i 12 e i 24 anni riferisce di soffrire di sintomi: come un disturbo d’ansia, la depressione, la paura dell’insuccesso o un basso livello di autostima; negli anni 2000 era un giovane su quattro.

Sul perché di tutto questo le ipotesi sono diverse: in primis, l’idea che i giovani siano meno resilienti a causa dell’adozione da parte dei genitori di stili diversi e meno funzionali rispetto al passato (genitori spazzaneve), inoltre è possibile che il mondo si sia semplicemente modificato rapidamente, diventando maggiormente veloce, confuso, incerto, imprevedibile, pericoloso e che le nuove generazioni, a differenza di quelle passate, ne stiano pagando il conto perché hanno necessità più lunghe di adattamento.

Fatta questa “premessa ambientale” gli allenatori quante volte spiegano che l’errore fa parte del processo di apprendimento?

Un famoso proverbio recita: Sbagliando si impara.

Diversi studi recenti hanno dimostrato addirittura che l’errore rappresenta una vera e propria fase dell’intelligere umano

L’errore infatti è parte del processo di apprendimento

Per capire l’errore dobbiamo quindi capire come funziona il flusso cognitivo dell’intelligere.

La prima è la fase della assimilazione: le informazioni nuove vengono incamerate dall’individuo, vengono portate dentro di sé. L’importanza quindi della ripetizione del gesto in maniera grezza, per far si che “il movimento diventi proprio”.

In un secondo momento, avviene un’elaborazione interna alla persona, che la porta a ragionare sui concetti appena appresi, a modificarli e integrarli: una caratteristica tipica dell’intelligenza umana. Vi sarà capitato anche a voi di osservare, in un giocatore che ha avuto una breve assenza dagli allenamenti, un miglioramento significativo nella fluidità dei movimenti. Questo perché l’atleta ha avuto il tempo di elaborare le informazioni assimilate in precedenza.

Infine, queste nuove conoscenze, ormai fatte proprie dall’individuo, possono essere riproposte attraverso una restituzione.

L’atleta ha assimilato e elaborato un gesto tecnico e con naturalezza lo riporta nel gioco, dove, non interverrà solo la correttezza del gesto, ma anche il quando proporlo e quindi la scelta tattica del fondamentale.

Dobbiamo quindi considerare l’errore come un segnale, dove il giocatore, durante il suo percorso di elaborazione, ha incontrato delle difficoltà e quindi considerare l’errore come uno step di crescita.

Ecco che il suo significato cambia completamente: da conseguenza di una colpa o sintomo di una patologia l’errore diventa la chiave di accesso alla comprensione del percorso cognitivo del giocatore.

In quest’ottica l’istruttore/allenatore deve porsi come osservatore attento degli errori dei suoi giocatori e trarne informazioni utili per accompagnarli al meglio nel loro percorso di apprendimento; questo ovviamente influenzerà anche la complessità, il dettaglio, la quantità, la qualità e il ritmo di flusso di informazioni che l’allievo riceve e soprattutto che è pronto a ricevere.

Non possiamo versare 3 litri d’acqua in una bottiglia da mezzo litro…

Chi insegna, quindi, non deve limitarsi a giudicare e valutare l’inadeguatezza delle risposte che i giocatori danno, ma deve cominciare a trovare strategie e soluzioni perché chi fa fatica trovi i supporti, le facilitazioni e i percorsi attraverso cui superare l’ostacolo, correggere gli errori e trarre il meglio dai propri talenti.

Una squadra si costruisce attraverso l’allenamento, in particolare alzando il livello dell’allenamento e per fare ciò è fondamentale elevare il livello medio migliorando quindi i giocatori più indietro, rendendo di conseguenza ogni allenamento sempre più competitivo.

LA GESTIONE DELL’ERRORE

Assodato quindi che l’errore sarà sempre presente e che farà parte del processo che porta a un miglioramento dell’individuo e del giocatore; come lo gestiamo?

La gestione dell’errore è importante perché permette ai giocatori di comprendere i propri limiti, individuare i punti deboli e lavorare su di essi.

In questo modo, possono migliorare e diventare sempre più competitivi.

La gestione dell’errore aiuta i giocatori a mantenere la calma e la concentrazione durante una partita. Se un giocatore commette un errore e non sa come gestirlo, tenderà a perdere la fiducia in sé stesso o a “forzare il proprio gioco” e quindi a compromettere la propria prestazione.

L’allenatore può insegnare a gestire l’errore facendo piccole e facili cose, che in gergo cestistico possono essere inserite sotto le INTANGIBLES (“stai uscendo dalla partita, rientraci con gesti semplici: un rimbalzo, un’apertura, un aiuto difensivo”, l’uso della voce in difesa).

Ma è possibile avere tutto sotto controllo durante la prestazione sportiva?

La risposta è NO!

La sensazione di controllo infatti può aumentare lo stato d’ansia che facilita l’errore.

L’allenatore e l’atleta durante la prestazione sono colpiti continuamente da molti stimoli che vanno a influire sull’attenzione e sulla gestione delle emozioni e questo viene amplificato dalla partita che alza notevolmente i livelli di stress.

Per entrambi la sensazione di poter controllare qualcosa è decisiva e incide anche sulla propria efficacia, ma occorre considerare alcuni concetti chiave:

  1. Spesso si crede che sia possibile controllare tutto e questo non solo non corrisponde alla realtà, ma ci porta anche ad assumere comportamenti che ci indirizzano verso risultati scadenti. Quindi se non è possibile controllare tutto, è necessario attenzionare gli aspetti, che in base all’obiettivo che mi sono posto, sono individuati come principali.
  2. Il desiderio di controllare tutto rende più nervosi, disattenti e ansiosi e come conseguenza il livello di frustrazione può alzarsi più facilmente. Questo, quindi, depotenzierà la fiducia in ciò che posso fare e possono fare gli altri e distoglierà il mio focus dagli aspetti più importanti.
  3. È importante capire che la decisione di cosa controllare ha un impatto sulla prestazione. Mettere a fuoco l’attenzione in una direzione piuttosto che in un’altra ha delle conseguenze molto significative in termini comportamentali. Se presto attenzione a cose poco significative o cose che non sono possono essere direttamente sotto il mio controllo (es. un fischio arbitrale) rischio di investire inutilmente le mie energie.

Quindi come possiamo allenare il proprio senso di controllo?

Quella di cui stiamo parlando è un’abilità che si può allenare.

Gli atleti più esperti sono tali non solo anagraficamente, ma perché, attraverso l’esperienza (che non è altro che la ripetizione di un gesto o in questo caso di uno stato d’animo), avendo maggiori criteri di valutazione e uno schema d’insieme più ampio, sono avvantaggiati nella gestione della propria emotività.

Gli elementi esterni che possono accelerare o decelerare il processo di apprendimento: i genitori, i genitori spazzaneve.

Ammortizzare i colpi al posto del proprio figlio viene ritenuto dal genitore un atto di responsabilità, ma in realtà, con tale atteggiamento, per quello che abbiamo già detto partecipano alla riduzione di quelle possibilità di apprendimento fondamentali. Il fatto che un ostacolo possa metterci in difficoltà sicuramente ci allarma, ma proprio perché in ogni momento della vita si incontrano degli inconvenienti e delle complicazioni, ciascuno di noi deve acquisire (e lasciare acquisire all’altro) una personale capacità di fronteggiarli.

Tale abilità è una delle abilità più importanti per una persona; nel quotidiano ci consente di adattarci ai cambiamenti, di non essere rigidi dinanzi alla complessità, di non scoraggiarci e soprattutto di sviluppare due qualità decisive: la fiducia nelle proprie capacità e la capacità di tollerare la frustrazione.

Se da un lato la tentazione di voler “spianare” la vita alle persone care è normale, dall’altra, è un atteggiamento rispetto a cui bisogna riflettere con responsabilità. 

L’affrontare i problemi in modo attivo, il sapere che dinanzi ad una difficoltà posso farcela e il riconoscere le mie risorse anche in situazioni di svantaggio, non sono abilità innate ma si apprendono e si sviluppano nel corso di tutta la vita.

Vivere direttamente queste esperienze è fondamentale e lo sport è un contesto ottimale proprio perché è uno spazio di apprendimento tutelato.

Un consiglio per i genitori? Essere presenti “da lontano” e incoraggiare il figlio nelle sue personali imprese combattendo il richiamo interno “di fare gli spazzaneve”.

La paura di sbagliare

Tutti i giocatori, ma anche gli allenatori, hanno un livello di emotività diverso e subiscono la pressione in maniera differente, ma tutti hanno paura di sbagliare.
Quando la paura di sbagliare non può essere più controllata la reazione è di rischiare il meno possibile, annullando di fatto le proprie scelte e le proprie prese di responsabilità.
Le idee che ha un individuo infatti influenzano la performance, soprattutto se queste idee riguardano le sue capacità.

Con il termine autoefficacia ci riferiamo a quello che pensiamo di essere in grado di fare e di realizzare in un particolare contesto. La considerazione che uno ha di sé stesso ha un forte impatto pratico. Uno sportivo che crede in sé, che lavora per essere consapevole, coraggioso nel superare gli ostacoli ed equilibrato nel tollerare le frustrazioni può sicuramente continuare a risolvere i “problemi del gioco nel gioco”.

Come correggere l’errore

  • Imparare ad osservare (Cosa sta succedendo in campo? Spesso gli esercizi non funzionano o non sono funzionali perché sono costruiti male e perché ciò che abbiamo immaginato e disegnato su carta non è come nella realtà)
  • Imparare a osservarsi (Come mi sto ponendo con la squadra? Quale clima sto creando? Come sono i giocatori nei miei confronti?)
  • Utilizzare le correzioni individuali (utilizzare le correzioni globali solo a errori inerenti il funzionamento di un esercizio).
  • Utilizzare il time-out anche durante l’allenamento (chiamare a se i giocatori o farli sedere in panchina per 30”/40”) per allenarsi anche mentalmente (giocatori e allenatori) a un momento specifico della partita.
  • Le correzioni individuali per essere efficaci non possono essere fatte durante il gioco, ma subito dopo l’azione giocata (la costruzione di un esercizio deve prevedere anche la posizione in campo dell’allenatore per individuare ma soprattutto per correggere l’errore).
  • Aiutarsi nelle correzioni anche con la mimica del gesto
  • Rendere consapevoli i giocatori e indurli all’autocorrezione attraverso delle domande (cosa hai visto? cosa potevi fare?...); rendere consapevole l’individuo
  • Utilizzare rinforzi positivi per consolidare il gesto anche in caso di errore (non ho fatto canestro ma ho utilizzato il gesto tecnico corretto che stiamo allenando)
  • Durante le correzioni parlare di responsabilità e non di colpa (“abbiamo preso canestro per colpa tua”)
  • Utilizzo delle metafore per rinforzare un concetto (un aiuto difensivo: “se vedi una persona in mare in difficoltà… Chiedi aiuto e provi ad aiutarlo o lo guardi e lo saluti dalla spiaggia?”)
  • Personalizzare le correzioni o i rinforzi positivi sia a livello qualitativo, che quantitativo.
  • Creare un clima di squadra positivo.

L’importanza del clima di squadra nell’apprendimento e nella gestione dell’errore

Con l’espressione “clima di squadra” si intende l’atmosfera che si respira all’interno del contesto squadra, l’insieme di tutti quegli aspetti della vita sportiva che non rientrano nel programma tecnico/tattico, ma che afferiscono alla sfera sociale, emotiva e relazionale.

Il clima di squadra è un elemento fondamentale, a cui prestare molta attenzione, perché ha il potere di condizionare significativamente tutte le fasi del processo di insegnamento: un buon clima di squadra può favorire la motivazione personale dei singoli e la cooperazione tra giocatori, l’autostima, lo spirito d’osservazione e il senso critico, l’empatia e l’intelligenza emotiva.

Per questo motivo, favorire relazioni positive a livello interpersonale e di gruppo dev’essere considerata una priorità dell’attività dell’allenatore e dei dirigenti, al pari del raggiungimento degli obiettivi cognitivi.

Come promuovere un clima di squadra positivo

Per promuovere un clima di squadra positivo, è opportuno, innanzitutto, osservare le dinamiche che occorrono naturalmente e spontaneamente tra gli atleti, in modo da individuare e comprendere eventuali situazioni problematiche o, al contrario, virtuose. 

L’allenatore può, quindi, ricorrere ad azioni correttive e costruttive.

È molto importante, in questo senso, un corretto uso dei rinforzi da parte dell’allenatore: premiare i comportamenti virtuosi come, ad esempio, la disponibilità ad aiutare i compagni, a lavorare insieme e a condividere.

Inoltre, bisogna prestare attenzione a mettere in pratica una comunicazione efficace e basata sull’empatia, in modo non solo da instaurare una relazione allenatore-atleta positiva.

Infatti, uno degli elementi fondamentali per un clima di squadra positivo è proprio la presenza di una corretta interazione e cooperazione tra gli atleti. È, quindi, essenziale che l’allenatore promuova queste dinamiche.

Ma cos’è effettivamente il “clima” all’interno del “sistema-squadra”?

Lo possiamo definire come la “percezione d’insieme” che i componenti della squadra hanno del loro stare nel gruppo e che è tale da influenzare la loro motivazione e il loro impegno e che, ovviamente, si manifesta nell’insieme degli atteggiamenti, delle relazioni e dei comportamenti che si instaurano.

Il clima di un gruppo positivo è il prodotto della combinazione di tre aspetti a cui gli allenatori devono porre attenzione:

la prevenzione negli atleti di atteggiamenti di scarso autocontrollo, di impulsività, di mancata appartenenza al gruppo che creano all’interno della squadra fenomeni di disagio;

il prendersi cura da parte dell’allenatore dei bisogni dell’atleta, arrivando alla personalizzazione dell’insegnamento che permette di considerare ciascuno come un soggetto originale che apprende;

  • la cooperazione tra i giocatori che deve sostituire la competizione tra i compagni di squadra, per raggiungere un successo di squadra prima che un successo personale o parallelamente che un successo personale sia un successo di squadra;

Come è possibile creare un clima di squadra positivo che faciliti l’apprendimento?

Innanzitutto i giocatori devono sentire di essere considerati importanti dal proprio allenatore. Questo è possibile solo se si instaura una relazione significativa tra allenatore e giocatore, nella quale l’atleta percepisca il reale interesse verso la persona. Si possono, ad esempio, utilizzare domande apparentemente banali del tipo “Come va?” “Cosa hai fatto?” “Come stai?” che comunicano la volontà dell’allenatore di essere partecipe della vita del proprio atleta.
In secondo luogo, il proprio giocatore va rispettato anche quando le sue prestazioni non sono all’altezza dell’aspettative. Questo non significa che i comportamenti sbagliati non vadano sanzionati ma che bisogna porsi in una condizione di accoglienza e di ascolto.
È fondamentale anche credere nelle risorse e nelle possibilità di ogni atleta, in quanto gli atleti avvertono se l’allenatore crede in loro o meno e questo va ad incidere sulla motivazione e l’entusiasmo con cui porteranno a termine un allenamento.

Concludo che con alcuni piccoli accorgimenti si può rendere l’atmosfera in squadra piacevole e serena:

  • salutare a uno a uno gli atleti e renderlo una buona abitudine anche tra di loro
  • sorridere e favorire il dialogo sia tra gli atleti che tra atleti e allenatore (cooperazione)
  • evitare di “rompere il gruppo” alimentando invidie
  • rendere l’errore una frustrazione o elemento di derisione da parte dei compagni
  • non rispettare la regola che tutti gli atleti hanno gli stessi diritti e doveri (coerenza)
  • evitare frasi sarcastiche ma preferire talvolta di essere chiari e diretti nell’affrontare un problema

Nel creare un buon clima influiscono anche le figure come dirigenti, direttori sportivi, fisioterapisti, medici e preparatori fisici, ma soprattutto nel mondo di oggi, anche addetto stampa e social media manager ed è per questo che ad alto livello gli staff, quando possibile, si muovono in blocco.

Affinché la squadra diventi un gruppo è indispensabile condividere un obiettivo, e che ogni persona riconosca e accetti il proprio ruolo all’interno del gruppo stesso.

Sbagliando si impara…d’altronde anche i topi imparano

Sbagliando si impara: se l’errore è visto come una prospettiva di un processo di crescita; ma se abbiamo gli strumenti e i maestri competenti si impara prima, sbagliando di meno.

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Postato da Tommaso Paoletti

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Inizia ad allenare all'età di 16 anni, e a 27 anni è Allenatore Nazionale. A 30 inizia il percorso da formatore e ha tenuto più di 10 corsi. Spesso è stato chiamato a parlare nei clinic cercando di portare sempre argomenti inusuali o ricercati. Le esperienze vanno dal minibasket ai senior sia maschile (fino alla C1) che femminile (A2), allenando tutte le categorie giovanili. Con il RTT della Toscana dal 2012 al 2016 ha fatto diverse esperienze con le nazionali giovanili come assistente con la grande soddisfazione di aver partecipato ai giochi olimpici giovanili che si sono svolti in Ungheria nel 2016.