Allenatore o Amico

Errori comuni di gestione giovanile.
Allenatore o Amico

Essere Allenatore di Settore Giovanile per me è sempre stato come fare le prove generali per essere genitore, nel senso che ogni giorno devi occuparti della crescita fisica, tecnica e mentale dei ragazzi. Un genitore credo che abbia le medesime preoccupazioni (più molte altre ovviamente) e che in qualche modo alcuni aspetti fondamentali dell’educazione e del “prendersi cura” dei ragazzi si intreccino con il ruolo dell’Allenatore di Settore Giovanile.

In questo articolo vorrei affrontare un argomento per me molto importante riguardo all’essere un buon Allenatore di Settore Giovanile. Tale argomento è la capacità di allenare i ragazzi a non dipendere dal Coach. In maniera molto collegata, saranno toccati anche i seguenti argomenti:

  1. Essere amico dei ragazzi
  2. Essere amico dei genitori
  3. Gelosia verso i ragazzi

Questi aspetti concorrono a far sì che un ragazzo/figlio riesca ad affrontare difficoltà da solo o meno. L’onestà morale degli Allenatori di Settore Giovanile dovrebbe farli riflettere prima di oltrepassare certi limiti dai quali poi è molto difficile se non impossibile tornare indietro.

Molti Coach credono (secondo me commettendo un errore madornale) che creando un rapporto di amicizia con i ragazzi l’attività giornaliera con loro migliori. Purtroppo questa credenza in molte situazioni è vera - almeno per un lasso di tempo - perché un ragazzo prediligerà sempre una situazione di “non stress” ad una dove viene messo costantemente alla prova (almeno nella maggioranza dei casi). La cosa peggiore è che i Coach tendono a dare la loro amicizia a tutti quei giocatori che in qualche modo possono “tornare utili”.

Tutto questo però cosa provoca?

Nel tempo ho notato che i coach che utilizzano questo approccio hanno sempre affrontato alcune fasi che si ripropongono in maniera ciclica nella loro vita:

PRIMA FASE

  1. Instauro un rapporto di amicizia = Grande apprezzamento del ragazzo verso il coach
  2. Non creo frizioni con il ragazzi dal punto di vista tecnico. Le correzioni sono più che altro parole al vento, non seguite da nessun fatto concreto = Il ragazzo vede nel coach una spalla, un amico che lo copre senza rompere tanto le scatole. Grande apprezzamento.

SECONDA FASE

  1. Non creo frizioni con i/il ragazzo/i con cui ho creato il rapporto di amicizia, e ad un eventuale errore lo giustifico o peggio ancora trovo un capro espiatorio (SUCCEDE) = Il ragazzo consolida la sua convinzione che l’allenatore sia una sorta di “compare” di marachelle ed in più consolida l’abitudine mentale di trovare sempre un colpevole a tutti i suoi errori.

TERZA FASE

Qui il nostro amico coach si trasforma magicamente nell’allenatore senior più spietato che ci sia perché le necessità di gioco richiedono attenzione, disciplina, gioco di squadra e capacità di scelta (cito solo alcune delle necessità). Tutto questo però genera alcune conseguenze che in pochi si aspettano:

  1. Il ragazzo inizia a “ribellarsi” al coach.
  2. Il coach non viene più riconosciuto come figura importante dal ragazzo
  3. La squadra segue il ragazzo perché essendo quello che il coach ha sempre valorizzato la squadra si è adeguata nel seguirlo

La percezione del ragazzo sarà quella di essere stato tradito dal compagno di merende che fino a questo punto lo ha sempre spalleggiato. Morale della favola, finisce una lunga amicizia.

Se invece l’amicizia continua, il ragazzo consoliderà tutte quelle abitudini, modi di affrontare gli errori, modi di relazionarsi con allenatore e compagni che tutti NON VOGLIAMO da un giocatore. Questo porterà l’atleta ad approcciarsi nel mondo Senior e sbattere la testa così forte che molto probabilmente il suo percorso con i “grandi” si fermerà prima ancora di partire.

La cosa ancora più drammatica è che se il nostro ragazzo il U16 o U18 cambia coach e ad allenarlo c’è un Allenatore che invece crede che il ragazzo deve essere ALLENATO in tutti i suoi aspetti, a discapito dell’amicizia. Se succede questo, il ragazzo ha due scelte, adeguarsi oppure no (se avesse avuto un buon Allenatore di Settore Giovanile nelle annate precedenti non ci sarebbe questo problema di scelta). E’ chiaro che se il ragazzo rifiuta il percorso proposto, le sue prestazioni caleranno, il suo ruolo in squadra perderà di efficacia e molto probabilmente opterà per un cambio di Club.

Come per i ragazzi anche i rapporti con i genitori sono complessi da gestire e anche molto pericolosi se la gestione non è corretta.

Senza ripetermi in quelle che sono le fasi che contraddistinguono una gestione “amichevole” dei rapporti, credo che sia doveroso riassumere alcuni punti essenziali che spesso chi decide di intraprendere la strada dell’amico è costretto ad affrontare:

  1. Genitore felice delle attenzioni “speciali” del coach = “lui si che sa Allenare. Capisce mio figlio in tutte le sue esigenze”.
  2. Genitore che commenta le prestazioni (spesso degli altri) con il coach = “certo che Marcolino oggi poteva fare così…ecc…”. Il coach spesso non argomenta (che è come dare ragione).
  3. Genitore chiede come mai hai messo in panchina suo figlio = il coach si sente attaccato ed il genitore tradito… Il rapporto inizia a vacillare.
  4. Genitore arrabbiato perché il coach si arrabbia con suo figlio = “Non capisco come mai adesso mio figlio è il problema di tutto”. Altra amicizia finita male.

Le strade più semplici purtroppo quasi mai sono le più sicure o giuste e un allenatore che decide di avventurarsi nel mondo delle “amicizie” spesso deve sperare di avere le spalle ben coperte per non rischiare di farsi troppo male.

L’ultimo - ma non meno importante - punto da trattare è la gelosia verso i giocatori che si allenano. Il concetto di gelosia sicuramente può trovare delle spiegazioni psicologiche che non voglio (per mia non competenza) tirare in ballo, ma comunque stiamo parlando della paura che un altro allenatore possa - allenando il MIO giocatore - in qualche modo danneggiare me ed il mio status.

Questo a mio parere deriva da due cose:

  1. La mentalità dell’amico
  2. Un’insicurezza profonda nei propri mezzi

Quando parlo di insicurezza intendo che l’allenatore in questione nutre - anche se paventa il contrario - delle profonde insicurezze (non solo sportive) che manifesta esprimendo gelosia verso un altro allenatore che “condivide” la formazione del medesimo atleta. Le frasi più ricorrenti sono:

  1. Quando sei con me si fa così…
  2. Guarda che qui non siamo nella squadra X dove fai quello che vuoi…

Tutti questi atteggiamenti e modi di fare verso il ragazzo provocano molto spesso una ricezione sbagliata del messaggio da parte dell’atleta. Infatti la maggior parte delle volte il messaggio profondo che passa è: tu devi ascoltare me perché gli altri non sono in grado di fare bene come me. In realtà l’allenatore vorrebbe dire: ascolta me perché ne ho bisogno.

Molte volte questo atteggiamento è scaturito anche da una profonda presunzione dell’allenatore che si reputa migliore di quanto in realtà sia e per questo ritiene quasi scontato dover allenare certi giocatori o che proprio gli stessi debbano ascoltare solo lui. 

Questo tipo di allenatori quasi sempre cercherà in maniera subdola di portare i ragazzi dalla sua parte utilizzando la “tecnica dell’amico”.

Come è molto facile capire, anche questo atteggiamento è nocivo verso i ragazzi e non provoca niente di buono per loro. E’ - come gli altri due aspetti - un modo di riempire l’ego del coach o di cercare di sopperire a delle sue insicurezze. Sicuramente non è il modo giusto di accompagnare i ragazzi verso un percorso di crescita che prevede un confronto reale e delle costanti situazioni di difficoltà da dover affrontare.

Una volta che abbiamo affrontato il come NON si è dei buoni Allenatori di Settore Giovanile, proviamo adesso a capire come effettivamente poter allenare la capacità dei ragazzi di vivere lo sport senza dipendere dall’allenatore.

Credo che le aree da toccare siamo moltissime ma quelle che noi Coach possiamo e dobbiamo gestire assolutamente sono:

  1. L’esperienza vissuta in prima persona e non per riflesso o consiglio del Coach
  2. Sviluppare la capacità di necessità al miglioramento negli atleti
  3. Gestire lo stress e le prese di decisione della gara

E’ chiaro che ci sono mille altri aspetti sui quali lavorare per garantire al ragazzo una formazione ottimale, ma se parliamo di allenare all’indipendenza questi per me sono i più importanti.

Una delle più grandi soddisfazioni per un Allenatore di Settore Giovanile credo sia quella di vedere i ragazzi allenati da un altro Coach in altre squadre (magari senior) e vedere che si adattano alla perfezione, riuscendo a giocare ma anche a comunicare con modalità differenti rispetto alle giovanili. Inoltre, quando i ragazzi partono e hanno quella sicurezza e indipendenza nelle proprie capacità (che non è essere sprovveduti e felici di giocare nelle senior) penso che il Coach possa ritenersi soddisfatto del lavoro svolto. Purtroppo molte volte l’impatto con una squadra U18 o Senior per i giovani è sempre molto duro e spesso questo dipende dai tre fattori sopra citati, oltre che da un’eventuale “gestione amichevole”.

Partendo dagli Under 13 (secondo me anche parecchio prima), dobbiamo iniziare a lavorare immediatamente sul primo punto cioè: L’esperienza vissuta in prima persona e non per riflesso o consiglio del Coach.

Credo (ed è anche provato scientificamente) che la capacità di apprendere non dipende solo ed esclusivamente dal sentire le nozioni ma - in particolare per aspetti motori e di abilità fisiche - anche dal provare tali nozioni. Se parliamo dei più piccoli possiamo parlare di fondamentali, uso dello spazio, scappare da un compagno che vuole prendermi ecc…

L’altro punto estremamente importante sono le prove di errori. 

I bambini devono sperimentare non solo le nozioni corrette, ma anche quelle non corrette, perché altrimenti non impareranno mai a scegliere e cosa molto più importante, non si porranno mai delle domande. E’ intuitivo capire quindi, che il secondo punto fondamentale sarà dare al bambino un obiettivo e lasciarlo sperimentare i vari modi di raggiungerlo

Il come farlo deve essere un pensiero dell’Allenatore che si deve tenere aggiornato, propositivo e ricco di idee/domande per migliorare ogni seduta di allenamento.

Sotto riporto alcune possibili trasformazioni di richieste per i nostri bambini:

RICHIESTE CANONICHE

RICHIESTE DIVERSE

Arriva a canestro con 3 palleggi

Arriva a canestro con meno palleggi possibili

Batti il tuo difensore se viene a SX vai a DX ecc…

Batti il tuo difensore, non deve toccarti il petto, spalla ecc…

Forse possono sembrare delle cose banali ma molto spesso vengono utilizzate delle richieste che non lasciano spazio di sperimentazione al bambino il quale impara solo ad essere comandato dal coach quasi fosse un avatar di un videogioco. Questo modo di pensare le esercitazioni e il modo di comunicare con i ragazzi può molte volte essere l’innesco per un miglioramento esponenziale se fatto in maniera continuativa nel tempo. 

Tale metodo non ha una data di scadenza, possiamo evolverlo ed utilizzarlo fino in U18 se vogliamo, consapevoli che più le necessità cambiano più dobbiamo adattare il nostro modo di allenare e comunicare con loro.

Quando i nostri bambini cominciano a crescere, credo sia doveroso iniziare a focalizzare la nostra attenzione sulla necessità di migliorarci sempre di più in ogni allenamento. Ad un certo punto infatti non basta più venire in palestra per divertirsi, adesso dobbiamo iniziare a capire che parte del divertimento è sperimentare abilità nuove, restare ore a tirare tiri liberi per migliorare le percentuali. Questo aspetto non sempre è curato a sufficienza perché molte volte abbiamo ragazzi che arrivano in Under 18 e aspettano ancora che il Coach gli dica cosa fare e come farlo. Io credo che questo parzialmente dipenda dal singolo ragazzo ma anche dall’educazione al lavoro sportivo ricevuta gli anni prima. 

Per riassumere le fasi per creare la necessità al miglioramento credo che possiamo identificarne tre sopra a tutte le altre:

  • Presa di coscienza e accettazione
  • Struttura di un percorso
  • Lavoro proposto e lavoro richiesto

Quando parlo di presa di coscienza parlo della capacità di valutare se stessi ed i loro fondamentali da parte dei ragazzi. Parlando di ragazzi di 15 anni molte volte capita che non abbiano una reale percezione di se stessi e quindi dobbiamo aiutarli a capire, ma come facciamo?

Per rispondere alla domanda io consiglio di ripartire dal 1° punto (L’esperienza vissuta in prima persona) perché credo che “il fare” aiuti a capire. Per essere più precisi, se un ragazzo crede di essere un super tiratore io lo metterò nelle migliori condizioni  per tirare e - fissando prima la percentuale -  lo farò tirare fino a che molto probabilmente le statistiche diranno il contrario e così facendo posso avere un dato oggettivo per intavolare una discussione costruttiva e volta al miglioramento del fondamentale. Se il ragazzo non è convinto, chiederò di quante sessioni di tiro ha bisogno per avere una mole di tiri accettabili dal punto di vista statistico e poi mi dedicherò a lavorare con lui. Il mio obiettivo non sarà mai quello di persuaderlo ma sarà quello di renderlo consapevole e quindi stimolare in lui la necessità di migliorare.

Una volta che il mio ragazzo ha dei dati oggettivi e li accetta allora potrò assieme a lui strutturare un percorso di miglioramento tecnico/fisico. Tale percorso deve essere totalmente condiviso dal ragazzo altrimenti non lavorerà mai con l’attenzione necessaria ad apprendere un nuovo movimento o una nuova nozione. Per fare questo io solitamente chiedo al ragazzo di parlare e - facendo delle domande - provo a tirare fuori dal ragazzo delle idee di lavoro sulle quali poi modulare gli interventi. Alcune di queste domande per esempio potrebbero essere:

  • A che % vorresti portare i tuoi tiri liberi?
  • Sai qual’è la tua % attuale?
  • Quanti allenamenti credi che ti servano per raggiungere il tuo obiettivo?
  • Credi che servano anche allenamenti specifici sulla presa della palla ecc…?

Piano piano cerco di stimolare il ragazzo a porsi dei problemi di gestione del suo miglioramento e tento di farlo rendere consapevole del lavoro che dovrà fare. Se il ragazzo non vuole parlare o risponde con delle idee chiaramente non attuabili allora provo con altre domande e altri metodi a portarlo su una strada di riflessione differente ma sempre con l’idea di non persuaderlo a fare quello che voglio io. 

Una parte fondamentale di questo processo è la capacità di fissare dei punti di verifica, cioè dei momenti in cui verifichiamo effettivamente se il percorso sta procedendo bene o meno. Per fissare tali punti potrò chiedere al ragazzo:

  • In quanto tempo vuoi raggiungere questa % nei tiri liberi?
  • Ogni quanto credi che sia necessario controllare con dei test le tua %?
  • Da che cosa capiresti che il percorso sta funzionando se facessimo un test tra 3 settimane?

Ancora una volta voglio che il ragazzo programmi il suo miglioramento, voglio che ne sia il primo artefice perché altrimenti credo che non se ne prenderà cura al 100%.

Se riusciamo a creare nel ragazzo un metodo di valutazione di sé, poi in futuro vedremo che sarà proprio lui a richiedere dei test valutativi oppure dei lavori extra. Questo ci porta al terzo punto, cioè lavoro proposto e lavoro richiesto.

Nel momento in cui il ragazzo ha appreso la metodologia molto probabilmente parleremo di un U16 o un U18 al primo anno (ci sono anche eccezioni positive e negative). Adesso il nostro obiettivo deve essere quello di continuare a condividere con il ragazzo le nostre idee e spiegare il perché vogliamo fare un certo tipo di lavoro ma quello che deve percepire è che in ogni caso, al centro dell’attenzione c’è lui ed il suo miglioramento individuale. 

Ogni lavoro individuale deve essere studiato su misura per lui e non generalizzato per andare più o meno bene per tutti. Allo stesso tempo dobbiamo far percepire al ragazzo che noi e tutto lo Staff Tecnico siamo disponibili per eventuali lavori aggiuntivi, sempre su richiesta del giocatore. Dobbiamo fare di tutto per stimolare nel ragazzo la voglia di sfidare se stesso e rompere la routine dove è il Coach che ti porta di forza a fare allenamento. Per farlo ci sono mille tecniche e metodologie che meriterebbero un articolo a parte, ma in ogni caso alla base ci siamo noi Allenatori che con il nostro comportamento, la nostra etica del lavoro e la nostra mentalità possiamo concorrere al miglioramento dei nostri atleti oppure alla loro disfatta.

Concludo condividendo un estratto di un intervento di Roosvelt del 1910 dove l’ex Presidente spiega molto chiaramente la differenza tra colui che si “butta nell’arena” per lottare e provare a migliorare le cose e colui invece che resta sempre inetto a commentare le imprese degli altri (mi riferisco alle due scelte che tutti i Coach hanno).

“Non è colui che critica a contare, né colui che indica quando gli altri inciampano, o che commenta come una certa azione si sarebbe dovuta compiere meglio.

L’onore spetta all’uomo nell’arena. L’uomo il cui viso è segnato dalla polvere, dal sudore e dal sangue.

L’uomo che lotta con coraggio, che sbaglia ripetutamente, sapendo che non c’è impresa degna di questo nome che sia priva di errori e mancanze.

L’uomo che dedica tutto sé stesso al raggiungimento di un obiettivo, che sa entusiasmarsi e impegnarsi fino in fondo, e che si spende per una causa giusta.

L’uomo che quando le cose vanno bene, conosce finalmente il trionfo delle grandi conquiste e che, quando le cose vanno male, cade sapendo di aver osato.

Quest’uomo non avrà mai un posto accanto a quelle anime mediocri che non conoscono né vittoria, né sconfitta.”

Grazie per la lettura.

Francesco Papi

Download

Ti è piaciuto? Condividilo!

Postato da Francesco Papi

21

Senese Doc, inizia la carriera di allenatore a 19 anni iniziando proprio con le giovanili della Montepaschi Siena, prima come assistente poi come capo allenatore arrivando a disputare diverse finali nazionali.
Dal 2008 entra nello staff della squadra di Serie A come assistente ed analista video. Nel 2014 diventa viene nominato Responsabile Tecnico del Settore Giovanile a Siena e nel 2015 approda all’Orange1 Basket Bassano nel medesimo ruolo di allenatore e Responsabile del Settore Giovanile.
A Bassano inizia la costruzione assieme al Club del nuovo Settore Giovanile che poi parteciperà a Finali Nazionali con differenti annate e che negli anni ha iniziato a produrre giocatori dalla Serie B alla A e anche giocatori per i College negli USA.