I saperi dell'allenatore
Sapere, saper far fare, saper fare in campo e saper essere.Prima di rispondere alla complessa domanda su cosa e quale deve essere il sapere dell’allenatore partiamo dalla definizione della parola stessa:
Persona qualificata in possesso di nozioni tecniche specifiche, addetta all'allenamento di un atleta o di una squadra.
Una definizione troppo vaga per noi allenatori, che ricerchiamo la professionalità.
Sicuramente più calzante la definizione del verbo inglese to coach che significa istruire, preparare, mettersi alla guida.
Quali sono i saperi dell’allenatore? Andiamo ad elencare e poi ad analizzare ognuno di questi aspetti: il sapere, il saper fare, il saper far fare, il sapere essere.
IL SAPERE
Per poter insegnare è fondamentale prima di tutto sapere, conoscere l’argomento con dovizia di dettagli e particolari, saper effettuare un ragionamento completo e coerente su di esso, saper rispondere alle domande che potrebbero scaturire dall’insegnamento stesso.
L’allenatore quindi deve conoscere, a fondo, la materia che tratta, per essere credibile agli occhi dei suoi giocatori.
L’allenatore deve essere disposto anche a confrontarsi sulle proprie idee, che possono discostarsi dal pensiero comune, purché esse siano dimostrabili.
SAPER FARE
Il sapere deve essere supportato dall’organizzazione, perché l’improvvisazione e l’approssimazione, alla lunga, renderebbero vano o inefficace il lavoro del coach. Dopo aver osservato e verificato con attenzione il sapere del gruppo o della squadra che andrò ad allenare potrò stabilire una “strategia”, una programmazione o meglio fare un goal-setting di squadra e per ogni giocatore/giocatrice.
La programmazione quindi dovrà tenere presente dei goal-setting di partenza e prevedere pochissimi obbiettivi di squadra, facilmente raggiungibili e verificabili, a cui aggiungere obbiettivi individuali. Vi suggerisco di prestare anche molta attenzione a cosa serve per giocare la pallacanestro di oggi, ma soprattutto a cosa servirà per giocare la pallacanestro di domani: quello che era giusto ieri, per molti aspetti del gioco, è già vecchio oggi e non andrà sicuramente bene nella pallacanestro che un giovane si troverà a giocare quando arriverà nel mondo dei senior.
Stilarsi una “lista” di quali dovranno essere gli strumenti, nel nostro caso esercizi, che aiutino nel raggiungimento degli obbiettivi prefissati, potrebbe essere già un aiuto per mettere un po’ di ordine.
La parola programmazione però ha tanti gradi di declinazioni che vanno dal globale allo specifico:
- programmazione annuale – a lungo termine
- programmazione a medio termine
- programmazione settimanale – a breve termine
- progressione trasversale
- programmazione dell’allenamento
- progressione didattica
Tutti questi passaggi devono avere coerenza tra di loro, integrando anche gli obiettivi tecnici, fisici e psicologici oltre a non trascurare gli obbiettivi d crescita e miglioramento individuale.
La capacità di osservazione, usata nella fase preliminare, dovrà restare sempre un punto focale in ogni momento dell’attività in quanto sarà il nostro indicatore.
Ancora più importante dovrà essere la difficilissima capacità di sapersi osservare, cioè di vedere come NOI COACH ci stiamo muovendo e comportando sul campo e cosa possiamo correggere, aggiustare e migliorare per implementare il nostro modo di allenare e di far migliorare più velocemente il gruppo o l’individuo; “assentarsi” per qualche istante dall’allenamento o dalla partita per osservare, con distacco, quello che succede veramente sul campo sia ai nostri giocatori che a noi è molto importante ed è una qualità che va allenata quotidianamente.
SAPER FARE IN CAMPO
Il sapere non può rimanere tale ma deve essere trasmesso sul campo, avere la capacità di trasferire il proprio sapere nel gioco che deve quindi diventare un qualcosa di tangibile e non può restare una mera applicazione della teoria.
Per trasformare la teoria in abitudine l’unica soluzione è l’allenamento, attenzione però ad allenare le buone abitudini, perchè allenare l’errore può diventare molto più deleterio e soprattutto difficilissimo da correggere un domani.
Per trasferire il suo sapere un allenatore dovrà essere un ottimo comunicatore, dovrà avere ottime capacità comunicative e di relazione che non dovranno essere utilizzate solo con i giocatori, ma anche con il resto dello staff, con i colleghi di società, con i dirigenti e perché no anche con i genitori, che vi ricordo sono parte integrante del percorso di crescita di un atleta e che non possiamo ignorare.
Allenare vuol dire anche prendersi cura del giocatore; mettere l’atleta al centro del progetto e quindi farlo crescere:
- negli aspetti tecnico/tattici
- in quelli fisici
- in quelli psicologici-relazionali
- ma soprattutto aiutarlo nel processo di crescita personale.
IL SAPER ESSERE
Per fortuna non esiste un solo modo di allenare, sia perché le conoscenze e le esperienze di ognuno di noi sono diverse sia perché, soprattutto, siamo tutte persone con il proprio vissuto e il proprio carattere.
In campo portiamo sempre la nostra persona con i nostri pregi e i nostri difetti, le nostre giornate, le nostre gioie e i nostri pensieri… è un po’ utopistico dire che quando entriamo in palestra ci dimentichiamo del mondo che sta fuori.
Tutto quello che sappiamo (sapere) affonda le proprie radici sulla nostra persona, su quello che siamo cioè sul saper essere.
Saper essere significa mettere il proprio gruppo e i propri giocatori al centro del progetto, significa proteggerli, migliorarli e fare ciò che è utile per la loro crescita fuori e dentro al campo.
Il saper essere prevede di utilizzare coerenza tra il verbale e il non verbale (ricordatevi che in una comunicazione il non verbale viene sempre compreso maggiormente rispetto al verbale).
Nel saper essere c’è un altro aspetto caratteriale molto importante e molto difficile da gestire: la tolleranza, sia durante le settimana che nelle verifiche del week-end.
IN CONCLUSIONE
Sapere, saper far fare, saper fare in campo e saper essere.
C’è chi sarà più facilitato in un aspetto chi in un altro, l’importante è essere consapevoli che allenare è un percorso difficile perché ci dobbiamo prendere cura di tante persone diverse l’una dall’altra, ognuna con la sua storia, con il proprio carattere e con le proprie peculiarità in campo (saper essere).
Trovare un linguaggio comune con il gruppo: l’uso della metafora in una correzione, in una spiegazione è modo semplice e rapidissimo per arrivare all’obbiettivo. L’uso della metafora è uno strumento che sdrammatizza la correzione e che la rende amica dei giocatori, allontanando l’idea della correzione come critica che denigra e mette in cattiva luce (saper fare).
Dobbiamo essere consapevoli che il miglioramento di un allenatore passa dalla capacità di osservarsi e migliorarsi giorno dopo giorno (saper far fare in campo) proprio come fa un giocatore con i propri fondamentali…
Se poi vogliamo crescere e migliorarsi dobbiamo studiare, ogni giorno, perché il gioco si evolve e cambia continuamente (sapere).
Postato da Tommaso Paoletti
Inizia ad allenare all'età di 16 anni, e a 27 anni è Allenatore Nazionale. A 30 inizia il percorso da formatore e ha tenuto più di 10 corsi. Spesso è stato chiamato a parlare nei clinic cercando di portare sempre argomenti inusuali o ricercati. Le esperienze vanno dal minibasket ai senior sia maschile (fino alla C1) che femminile (A2), allenando tutte le categorie giovanili. Con il RTT della Toscana dal 2012 al 2016 ha fatto diverse esperienze con le nazionali giovanili come assistente con la grande soddisfazione di aver partecipato ai giochi olimpici giovanili che si sono svolti in Ungheria nel 2016.